Whiteness

La condizione di privilegio sociale che deriva da una certa pigmentazione cutanea. E, per estensione, una serie di caratteristiche che si associano alle razze, a seconda della presenza o assenza di ‘bianchezza’. Questa parola fu diffusa inizialmente da Dave Roediger vent’anni fa quando scrisse delle wages of whiteness, quella strana soddisfazione psicologica che i lavoratori americani dell’Ottocento derivavano dall’essere ‘bianchi’, piuttosto che neri, che li rendeva ciechi agli interessi di classe in comune.

Il paradosso è che in fondo le razze sono una costruzione sociale, una maledetta invenzione, che però ha un peso enorme: di mancata whiteness spesso si muore, lo sanno i migranti che affondano sui gommoni come gli adolescenti neri che la polizia americana uccide alle spalle. Finemente, Toni Morrisson, nel bellissimo saggio Playing in the Dark, ha poi descritto come la subdola nozione di whiteness corroda l’immaginario collettivo e le rappresentazioni simboliche. Sarà anche un retaggio dell’Ottocento, ma è ancora fortemente con noi.

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