Emilio Lolli, 46 anni a luglio, Console.
Da dove vieni?
Vengo Bologna, soprannominata “la dotta”.
Quando sei arrivato a Colonia?
Sono venuto a Colonia alla fine del 2013, prima lavoravo a Roma, sempre per il Ministero degli Esteri italiano. Trovandosi la sede consolare di Colonia libera, mi hanno proposto di fare il Console, ed ho accettato volentieri questa nuova sfida. È la mia prima esperienza come Console, e sono stato felice di accettare questa opportunità nonostante la grande responsabilità.
Che impressione ti ha fatto la città?
Da subito mi ha dato delle belle sensazioni, si respira un’aria amichevole, mi ha colpito la sua multiculturalità. Colonia è raffinata, per certi aspetti rassicurante, mi ricorda tanto la mia città: Bologna.
E adesso?
Le prime impressioni si sono col tempo confermate, almeno per me. Qua non ci si sente estranei, non si viene guardati come se uno fosse una mosca bianca, si è liberi di essere quel che si è.
Ti piacerebbe rimanerci a vivere?
Sì, ci resterei. La città è interessante, cerco di “scoprirne” i segreti, mi piace passeggiare tra le sue vie. Mi piace osservarla, vedere il suo passato che affiora in ogni angolo, nonostante le devastazioni del secondo conflitto mondiale. Adoro passeggiare vicino al Reno. Poi il un’altra cosa che mi ha colpito è il rapporto quasi osmotico che i suoi abitanti hanno con il Carnevale: è un po’ come a Siena con il Palio.
Che progetti hai per il futuro qua a Colonia?
Naturalmente oltre ai miei compiti istituzionali, mi piacerebbe continuare a rafforzare il legame già forte che c’è tra la città e la nostra comunità. Recentemente, abbiamo contribuito con l’Istituto Italiano di Cultura all’organizzazione, da parte del Römisch-Germanisches Museum, della mostra su Agrippina, a cui Colonia deve il proprio importante status ai tempi dell’Impero romano. Poco dopo l’inaugurazione abbiamo organizzato un pomeriggio ad ingresso gratuito per i nostri connazionali. È stato molto bello per noi, la mostra ha avuto e sta avendo un grande successo, ne siamo orgogliosi. Mi auguro di poter fare ancora tanto.
Di G. La Caprara